Qualche articolo su Protti

La Provincia di Cremona
Venerdì 11 agosto 2000

Io Pavarotti, amico di Aldo di Roberto Codazzi
Il commosso ricordo di Big Luciano per il grande Protti

Una scomparsa che ha aperto una voragine, un buco nero, un vuoto incolmabile nel teatro musicale italiano (e non solo) oggi abitato da personaggi che al confronto appaiono tanto più piccoli.
Il 10 agosto 1995 moriva Aldo Protti, uno dei massimi baritoni del '900, l'Artista che ha scritto capitoli di storia del melodramma, cantando al fianco della Callas e di Pavarotti, sotto la direzione di Karajan e Celibidache, con la regia di Visconti e Zeffirelli.
Ieri sera si è tenuta una messa in suffragio nella chiesa di Sant'Ilario, la stessa che ospitò i funerali del grande Rigoletto cremonese, quando a piangerlo accorsero Leo Nucci e Nello Santi.
Nel quinto anniversario della morte è Luciano Pavarotti, raggiunto telefonicamente nella sua villa di Pesaro, a tracciare un commosso ricordo dell'amico e collega Aldo.
" Di lui conservo un ricordo magnifico - afferma Big Luciano - Era un grandissimo professionista e un grande uomo. Geloso di nessuno, aiutava sempre tutti. In teatro non parlava mai male di nessuno ed era felice quando cantavano bene gli altri. Anche per questo era un personaggio raro, anzi unico, nel panorama teatrale [……] :potrei definirlo la quintessenza del professionismo".
- Quando ha cantato con Protti?: Al suo fianco ho debuttato nei Puritani al teatro Bellini di Catania nel 1968; ricordo che mi sostenne come un fratello maggiore, aiutandomi a superare brillantemente la prova.
Nello stesso anno ho partecipato con lui ed Enzo Dara a un concerto a Mantova organizzato dagli Amici della Lirica, sotto la direzione di Ettore Campogalliani, e ho fatto un Rigoletto al teatro Massimo di Palermo" - Cosa ha rappresentato Protti per il teatro musicale in genere?: "E' stato uno dei più grandi baritoni di tutti i tempi. Ricordo la sua voce ben impostata, perfettamente in maschera. Una voce che sgorgava con quella facilità che sottende una straordinaria tecnica, uno studio minuzioso.
In questo lo paragono a Flaviano Labò, a Mirella Freni e a tutti i grandi cantanti che sono usciti dalla scuola di Campogalliani".
- Di recente Giuseppe Di Stefano, in una intervista radiofonica, ha definito la voce di Protti come una delle più significative del secolo.
"Ha perfettamente ragione. Era una voce, quella di Aldo, assolutamente inimitabile, che non si dimentica.[……..]

Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire
Lohengrin 1976 Trieste
"La fanciulla del West"
1970 Teatro Ponchielli di Cremona "Falstaff"

Da L'Opera Novembre 1995 di Giancarlo Landini

RITRATTO DI ALDO PROTTI, RECENTEMENTE SCOMPARSO
L'ANIMA NELLA VOCE

La recente scomparsa di Aldo Protti, al di là del cordoglio per la perdita dell'uomo e dell'artista, ci offre l'occasione per qualche riflessione sulla parabola di questo valente interprete dell'arte lirica e più in generale sulla corda del baritono e sul suo stato di salute. Il tono di queste riflessioni vuole essere il più possibile sgombro da pregiudizi, ai quali tutti, chi più chi meno, soggiacciamo,
ma anche da tentazioni agiografìche o beatificatorie, che, sarebbero fuori di luogo e di fatto inutili.
Aldo Protti si è affacciato alla ribalta nel dopoguerra e, impavido, ha affrontato subito un repertorio di tutto rispetto, o meglio, ha affrontato subito il repertorio, il grande repertorio, fatto dei ruoli verdiani fondamentali, delle figure importanti di Puccini o del Verismo, senza dimenticarsi di quei pochi ruoli significativi del primo Ottocento, sopravvissuti nella pratica corrente dei teatri. È il caso di Enrico nella Lucia di Lammermoor o di Figaro ne Il barbiere di Siviglia, lavori ai quali nessun baritono, al di là delle sue scelte di repertorio, vuole sottrarsi.
Nel corso della sua attività, che è sempre stata intensissima, se non frenetica, oltre che distribuita su di un arco di tempo assai lungo, il nostro non si è mai sottratto all'occasione, o all'opportunità, di affrontare titoli desueti e rari.
Il significato del repertorio compilato da Carlo Marinelli Roscioni ha proprio lo scopo di illustrare con precisione di dati l'ampiezza dell'attività di Protti, dove si incontrano per sonaggi assai disparati, alcuni, almeno a giudicare sulla carta, francamente lontani dal suo abituale campo d'azione. È il caso del Pizarro del Fidelio. Da questo immenso repertorio, complico Carlo Marinelli-Roscioni, abbiamo voluto estrapolare la cronologia parziale delle interpretazioni di Rigoletto, sostenute da Aldo Protti, che di questo personaggio è, con Leo Nucci, l'interprete italiano di riferimento del nostro dopoguerra. Delle sue moltissime esecuzioni dell'opera verdiana abbiamo voluto segnalarne solo alcune, con lo scopo di offrire al lettore un vasto panorama dei molti luoghi dove il baritono cremonese ha portato la sua icona del buffone verdiano. Allo stesso modo abbiamo voluto mostrare come il rapporto con Rigoletto sia stato continuo e regolare, dall'epoca della sua esecuzione fiorentina degli anni Cinquanta fino a quello del Met di New York, che può essere considerata un punto di arrivo.
Come è noto a tutti, Protti fu presto scelto da uno dei marchi discografici più importanti, la Decca, e partecipò ad una serie gloriosa di incisioni di titoli famosissimi, assieme ad una schiera di cantanti, come Mario Del Monaco e Renata Tebaldi, che, al di là dei giudizi di ognuno, devono essere considerati tra i principali esponenti dell'arte lirica nel nostro dopoguerra. Questo fatto accrebbe la sua popolarità e diffuse per tutto il mondo il nome, la voce e l'arte di Aldo Protti.
Proprio per questi motivi la sua casa discografica non potè mancare di fargli incidere Rigoletto.
Di questa edizione, prodotta nel 1954, quindi nel primo periodo della carriera di Protti, che disponeva di una voce freschissima, la critica discusse molto e lanciò strali, specie contro l'"esuberante" prestazione del tenore.
All'atto della pubblicazione de "Il Teatro d'opera in disco" 1950-1987 Rodolfo Celletti se la sbriga in poco spazio e dedica a Protti mezza riga, fissando il cantante in due immagini, quella della correttezza vocale e quella della genericità del fraseggio. È un giudizio che viene da lontano, dalle "Voci parallele" di Giacomo Lauri-Volpi e dalla voce "Protti" compilata da Giorgio Gualerzi per gli aggiornamenti dell'"Enciclopedia dello spettacolo".
Fermiamoci un momento su questa bistrattata edizione del Rigoletto e riascoltiamola, facendo particolare attenzione alle scene che impegnano Rigoletto, cioè Aldo Protti.
Penso che nessuno possa negare la natura schiettamente baritonale della voce di Protti,
una natura baritonale che si iscrive nella tradizione del nostro secolo. Protti è un baritono
tagliato alla maniera delle voci formatesi nel periodo tra le due guerre, voci che dal gusto
verista hanno ereditato l'amore per il timbro fosco, scuro, lontano dalle propensioni tenorili di certi baritoni della fine dell'Ottocento e degli inizi del Novecento. Il loro fraseggio si è fatto incisivo, assai drammatico, talvolta incline ad ottenere effetti immediati, un fraseggio lontano dall'aulica rotondila dei baritoni del secolo precedente.
Come tutti, o quasi tutti, i cantanti di quell'epoca, quella vituperata del Verismo, Protti ha le carte in regola sotto il profilo tecnico. La voce è appoggiata con sicurezza, è emessa senza fatica, è sostenuta in modo omogeneo in tutta la gamma, è agile negli acuti, avara però per quanto riguarda la dinamica.
La dizione è chiara ed il fraseggio assai nobile, capace di conferire incisività alla frase.
Insomma una tipica voce impostata secondo il gusto realista o verista che ha reso possibile
quella stagione d'oro degli anni Cinquanta, dove, sembra una battuta e non lo è, i cantanti
cantavano e avevano la voce.
Chi scrive non ha vissuto in prima persona quella stagione, impossibilitato da improrogabili ragioni anagrafiche e, in gioventù, ha creduto alla chimera del così detto metodo di canto belcantista, che nella speranza di fare risorgere Tamburini e Rubini, ha svuotato i teatri di voci, ha dissestato l'impostazione tecnica di legioni di cantanti, ha fatto in modo che non se ne trovi uno in grado di eseguire con l'ampiezza e l'autorevolezza necessaria i grandi titoli verdiani.
Alla scuola del muggito è seguita quella del sonnambulismo belante, fatta di voci afonoidi, slavate, male emesse, faticosamente sostenute, destinate a svaporare dopo qualche recita. È nata la favola del: "ha sbagliato repertorio" o del "canta troppo". Basta leggere le cronologie dei vecchi leoni, per vedere quanto cantavano e che cosa cantavano.
L'ascolto del Rigoletto di Aldo Protti conferma prima di tutto la presenza di un cantante in grado di sostenere con autorevole sicurezza l'intera parte. Si potrebbe discutere se Protti corrisponda alla perfezione ad una voce verdiana ideale.
È certo che della voce verdiana Protti ha l'autorevolezza, la resistenza, in taluni casi, la protervia, in molti lo slancio.
I puristi vi diranno che Protti è la versione verista del baritono verdiano. È vero! Ma questa eguaglianza, che per anni anch'io ho guardato con orrore, non è affatto negativa come si crede. Chiediamoci che cosa ha portato di positivo il Verismo alla scuola di canto: la rilevanza dell'accento, l'intensità del fraseggio, la modernità del disegno dei personaggi, resi con un nervosismo lontano dallo stile compassato del secolo scorso. Non c'è nessun grande cantante di sesso maschile del nostro secolo che di fatto non sia impostato in modo verista, da Caruso a Domingo, passando, eresia, per Bergonzi.
Nessuno di questi signori canta, meno male, alla Rubini o secondo quegli esperimenti di
laboratorio che possono vivere nei recinti diqualche festival sfizioso. L'ideale sarebbe potere conciliare questo nervosismo interpretativo di marca verista, con una più attenta e scaltrita paletta dinamica, studiata nelle mezzevoci e nelle gradazioni del suono. Protti non appartiene a questo gruppo di eletti; il suo canto è schietto, è genuino e quindi poco si preoccupa di pesare le sonorità con il bilancino o di sfumare. Protti è come quei pittori che colgono e rendono l'anima di una scena e di una figura, ma non curano i particolari.
Però l'anima c'è, e se c'è!
Tornate a quel vituperato Rigoletto ed ascoltate con attenzione i monologhi, quello famoso davanti alla casa, nel primo atto, e l'altro, altrettanto famoso, davanti al cadavere della figlia nel terzo atto. Sentirete un baritono che, senza scavare ogni singola parola, coglie nel primo il senso di smarrimento, di paura che alegga?, sull'anima di Rigoletto a causa della maledizione di Monterone e nel secondo il desiderio di vendetta, di farla pagare. Protti non è cosmico, non trasporta la figura verdiana in una dimensione tragica esemplare, non ne fa un personaggio shakespeariano, rimane
nei confini dell'umano, ne fa, se volete, un borghese piccolo piccolo, che si sfoga con i potenti, che cerca una soddisfazione. Ma chi può negare che questa interpretazione sia legittima? Chi può negare che il personaggio verdiano contenga anche questa faccia?
Legittimamente nessuno.
Sotto il profilo dello stile, i due monologhi, provano che il pur temperamentoso Protti non cade mai in effettacci gaglioffi, è assai rispettoso della linea vocale, non è trasandato, ne volgare. Basta voltare pagina, vale a dire arrivare ai due duetti con Gilda, per accorgersi che, pur senza produrre
quel canto morbido e felpato, che certi passi richiedono, la sua voce sa commuoversi, sa
cogliere, forse rudemente, il dramma del padre e sa renderlo in modo genuino. Allo stesso
modo nella grande scena del secondo atto cercherete invano una terribilità tragica sia nell'invettiva contro i cortigiani sia in quella finale contro il duca.
Protti rimane ad una dimensione più quotidiana del dramma di Rigoletto, ma sia gli slanci che i ripiegamenti hanno accenti di verità.
Tutto questo non è liquidabile in mezza riga; è qualche cosa di più di una semplice correttezza di intenti; è il frutto di una scuola di canto sicura, di quelle che permettevano a Protti di tuonare in Amonasro e di sostenere, senza sfiatarsi, la micidiale cabaletta di Don Carlo ne La forza del destino, di cantare con impavida fierezza Jago e di essere un Germont assai credibile. Certamente in "Di Provenza, il mare, il suol" non vedremo squarciarsi i cieli in un paradiso di alate emissioni, ma tutto il duetto con Violetta vive di una forte dignità
interpretativa.
Protti, sempre sicuro vocalmente, mai costretto a ricorrere a degli "escamotages", per superare le difficoltà della scrittura verdiana, disegna un padre concreto, burbero, ma comunque credibile, che perora in modo convincente le sue ragioni, quelle ragioni che va di moda considerare ipocrite, ma
che sono assai sensate. (Alzi la mano chi di primo acchito sogna che il proprio figlio sposi
una prostituta in carriera. E sia detto senza ombra di razzismo).
Nel caso di Germont la prova del nove potete farla con l'edizione Decca del 1954, un'altra di quelle edizioni, dove Protti è stato liquidato con un "canta con correttezza". Anche se il paragone venisse fatto con certi mostri sacri, questo giudizio sarebbe riduttivo e grossolano, falso e non vero.
L'interpretazione di Protti ha una sua dignità vocale ed una sua logica drammatica, un suo taglio; se poi il paragone venisse fatto con i prodotti dell'Eldorado nato dalle promesse di rinnovamento che dovevano avverarsi tornando allo stile antico, allora solo i sordi potrebbero avere dubbi su dove stia la verità.
E, pur non aspirando affatto ad intraprendere l'attività di maestro di canto, non avrei dubbi
nell'additare in Aldo Pretti, un modello da seguire, un metodo di canto da imitare.

Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire
1972 Comunale di Firenze
"Tosca"
1968 Catania
"Trovatore"

da PARMA LIRICA 1995 di Marcello Conati

PER LA SCOMPARSA DI ALDO PROTTI (1920 - 1995)
Artista completo, sensibile, raffinato

Il 10 agosto ultimo scorso è mancato ai vivi Aldo Pretti, artista lirico.
Aveva appena compiuto settantacinque anni. Era nato infatti il 17 luglio 1920 a C remona, come dire a qualche tiro di schioppo dalle Roncole, il luogo natale dell'autore, Giuseppe Verdi, che più aveva amato e più frequentemente interpretato.
Poche settimane prima, ai primi di luglio, era stato insignito del "Premio Caruso 1995" e aveva tenuto un concerto a Lastra di Signa. Le scarse e striminzite biografìe ufficiali informano che da giovane fu operaio nelle cave di marmo, che poi lavorò come macchinista delle ferrovie e che studiò canto al Conservatorio di Parma sotto la guida di Ettore Campogalliani.
Il suo esordio in teatro avvenne nel 1948 a Pesare con il Barbiere di Siviglia, opera che poi eseguì nel novembre di quell'anno anche nella nativa CremOnA, ma che in seguito scomparve dal suo reperto . L'anno seguente si presentava a Mantova in Traviata a fianco di due "glorie" della scena lirica: Hilde Reggiani e Arnaldo Voltolini: e ancora a Mantova, ali 'aperto, a fianco della Favero e di Prandelli, nella parte di Marcello in Bohème, opera che pure sarebbe scomparsa dal suo repertorio.
Si apprestava ad affrontare, infatti, in quello stesso anno, ruoli più consoni alla sua vocalità: Cavalleria rusticana a Parma (subentrando nella parte di Alfio a Carlo Bergonzi, a quel tempo ancora baritono), e Pagliacci a Genova. Intanto si faceva conoscere da un pubblico più vasto
attraverso alcune esecuzioni di opere liriche alla radio, dove aveva esordito sin dal i 948, l'anno stesso del debutto in teatro.
Nel 1950 a Modena con Rigoletto, l'opera destinata a diventare il suo cavallo di battaglia, a Catania con Trovatore e Aida, ancora con Aida a Mantova e infine con La forza del destino all'Arena di Verona, Protti entrava in quello che sarebbe stato il repertorio dominante della sua carriera. Ma non
mancò di esplorare ruoli meno pesanti ovvero meno "battaglieri": ad esempio Valentino nel Faust di Gounod a Genova, Giorgio Germont nella Traviata a Catania e a Trieste, affrontando al tempo stesso opere meno frequentate: Artesiana di Cilea a Modena (1951-52), Fernando Cortez di Spontini a Napoli (1951) e Lohengrin in italiano ancora a Catania (nel 1951), opera, quest'ultima, che eseguirà ancora in seguito: ad esempio a Palermo nel 1966 e a Genova nel 1971; ma in fatto opere di rara esecuzione va ricordata anche l'Africana di Meyerbeer che Protti interpreterà al S. Carlo di Napoli nel 1963 nell'impervio ruolo di Nelusko.
Il 1953 è l'anno della consacrazione: Rigoletto a Pisa e a Montecarlo, Otello e Un ballo in maschera a Modena., ma soprattutto La forza del destino (diretta da Mitropoulos, con la regia di G.W. Pabst e un cast comprendente la Tebaldi, la Barbieri, Del Monaco e Siepi) e 'Aroldo di Verdi al Maggio Musicale Fiorentino e la trionfale stagione areniana con l'Aida (diretta da Serafin, nella regìa di Pabst, a fianco della Callas e di Del Monaco) e con il Trovatore (ancora a fianco della Callas, mentre nel ruolo di Manrico si alternavano Filippeschi, Kurt Baum e Del Monaco).
La consacrazione diventava definitiva con l'esordio alla Scala nella stagione 1953-54: subentrando a Leonard Warren nel Rigoletto usciva con pienissimo merito dal confronto ravvicinato con il celebre artista statunitense.
Fino al 1957 fu ospite fisso del teatro milanese: nel 1955 vi interpretò Andrea Chénier con la Callas e La forza del destino con la Tebaldi; nel 1956 fu memorabile protagonista del Simon Boccanegra (impressionante il suo "Paolo!" nella scena del Senato); in quella stessa stagione si presentava in Traviata, a fianco dell'indimenticabile Callas, e nei Pagliacci.
Ancora alla Scala nel 1957 vi cantava in Pagliacci e nella Forza del destino.
All'Arena di Verona era frattanto ritornato nel 1954 (Aida), nel 1955 (Carmen e Aida), nel 1956 (Gioconda con Di Stefano); si sarebbero poi succeduti La forza del destino e II trovatore nel 1959, Aida nel 1961 e nel 1974. Intanto si esibiva anche all'Opera di Roma ('Rigoletto e La forza del destino nel 1954) e nei maggiori teatri di Francia (Rigoletto a Parigi nel 1954, Marsiglia, Bordeaux, Lyon, Nizzaa), di Germania (Deutsche Oper di Berlino, Colonia, Francoforte, Monaco, Stoccarda), del Belgio (La Monnaie di Bruxelles), della penisola iberica (Lisbona, Barcellona), di Svizzera (Zurigo, Basilea), ed extra-europei (Colòn di Buenos Aires, Metropolitan di New York, Città del Messico, Tokyo, Johannesburg, e tanti altri ancora).
Dal 1957 fu per alcuni anni ospite fisso della Staatsoper di Vienna (Rigoletto, Trovatore, Traviata, Aida, Forza del destino, Otello, Carmen, Pagliacci, ecc.) e del Festival di Salisburgo, spesso richiestovi da Karajan.
Ebbe carriera longeva: nel 1978 fu Nabucco a Palermo e nel 1982 Rigoletto a Piacenza.
A Parma esordì il 18 settembre 1949 in Cavalleria rusticana subentrando - come già accennato - a Bergonzi; vi ritornò nel gennaio 1953 per Un ballo in maschera (questa volta a fianco di Bergonzi): nella stagione ] 953-54 per Rigoletto e Otello; nel gennaio 1957 per Andrea Chénier; nel gennaio 1961 per Un ballo in maschera; nella stagione 1961-61 per Don Carlo a fianco di Cesare Siepi: nel febbraio ] 972 fu Gianciotto nella Francesca da Rimini; un anno dopo Escomillo in Carmen; e infine nel gennaio 1975 ritornò a Parma per la sua ultima esibizione vestendo in modo impareggiabile i panni di Pizarro nel Fidelio di Beethoven. Coronò il suo rapporto con Parma il 27 marzo 1976 con una memorabile intervista-concerto alla "Parma Lirica" {associazione della cui fondazione era stato padrino nella vecchia sede di via Turchi): un 'indimenticabile serata della quale molti soci conservano ancora viva memoria.
Nel complesso Aldo Protti interpretò 51 personaggi, collezionando circa 1.900 recito. Oltre a Rigoletto, in assoluto la parte che più frequentemente eseguì nel corso della carriera, le opere che più spesso Protti interpretò sulle scene nazionali ed estere furono II trovatore, La forza del destino, Aida e Pagliacci. Seguono quindi Otello, Andrea Chénier, Gioconda, Carmen, Un ballo in maschera, Puritani, Traviata, Don Carlo. Al termine della carriera aggiunse alla galleria dei personaggi interpretati anhe quelli dì Scarpia, di Gianciottu, di Gellner (Wally) e di Pizarro.
Aveva iniziato la carriera al tempo in cui era ancora validamente sulla breccia la vecchia guardia rappresentata da Carlo Tagliabue, da Mariano Stabile, da Piero Biasini, e nei cartelloni teatrali predominavano i rappresentanti della corda baritonale emersi alla fine degli anni 1930 quali Gino Bechi, Tito Gobbi, Giuseppe Taddei, Enzo Ma scherini. Paolo Silveri, Leonard Warren. Era anche il tempo in cui s'affacciavano nuovi baritoni di robusta tempra vocale come Gian Giacomo Guelfi, Ettore Bastianini, Cornell Mc Neil. In questa nutrita presenza Aldo Protti seppe emergere e imporsi senza difficoltà.
Potenza di voce e physique du role lo predisponevano (come si direbbe in gergo) a ruoli canaille: Tonio, Rigoletto, Gérard, Amonasro, Carlo di Varga, Gianciotto, tutte parti nelle quali egli era in grado di di dimpegnarsi con assoluta tranquillità, si direbbe anzi con impressionante facilità.
Fu tuttavia un limite di maestri e impresari averlo troppo circoscritto a un determinato repertorio e non avergli offerto possibilità di affrontare parti di diverso carattere.
Benché ricordato - e giustamente - come baritono eminentemente verdiano, il suo repertorio non fu comunque molto ampio, se paragonato con quello dei baritoni della sua generazione, ciò anche restando nel ristretto ambito delle opere di Verdi: molto Rigoletto, molto Trovatore, molta Forza del destino, ma per contro poco Emani, poco Nabucco, una sola edizione del Simon Boccanegra, una sola (mi par di ricordare) dei Vespri siciliani (a Trieste nel 1959); mai - ch'io sappia - il Macbeth (e quest'assenza appare veramente misteriosa). Per conto il canto pucciniano non sembrò essergli molto consentaneo, dato che non figurano nel suo repertorio ne la Fanciulla del West
ne il Tabarro; e solo a fine carriera ebbe l'occasione di affrontare To sca.
Baritono a tutto tondo, a ventiquattro carati, dalla voce estesa, potente, salda e resistente, possedeva un canto immediato che non conosceva trucchi nè sotterfugi.
Una voce solare. Forse per questo non era considerato cantante "problematico" (e fors'anche per questo i sovrintendenti gli negarono ruoli come Simon Boccanegra e Macbeth).
E tuttavia era capace di sfumature impensate, abile nel colorire la frase, intelligente nel dosare la dinamica, disinvolto nel coordinare il canto con una presena scenica molto incisiva, e per certi aspetti esemplare. Il suo Jago - che Karajan apprezzò al punto di volerlo nell'edizione discografica da lui diretta - era convincente non solo sul piano vocale ma anche su quello scenico.
Ricordo ancora con quale sorpresa e ammirazione lo vidi interpretare - dopo tanti Rigoletti e Trovatori - la parte del perfido alfiere: sulla scena era veramente, per voce e per azione scenica, un "onesto" Jago, capace di violente esplosioni vocali e al tempo stesso di modulare il canto a fior di labbra.
Ebbi la dimostrazione lampante di un artista completo, che sa scavare nel personaggio, penetrare nei segreti della partitura musicale, capace di quelle raffinatezze di cui solo gli interpreti più sensibili alle ragioni dell'arte conoscono il segreto.