Qualche articolo su Protti
La Provincia di Cremona
Venerdì 11 agosto 2000
Io Pavarotti, amico di Aldo di Roberto Codazzi
Il commosso ricordo di Big Luciano per il grande Protti
Una scomparsa che ha aperto una voragine, un buco nero, un vuoto incolmabile
nel teatro musicale italiano (e non solo) oggi abitato da personaggi che
al confronto appaiono tanto più piccoli.
Il 10 agosto 1995 moriva Aldo Protti, uno dei massimi baritoni del '900,
l'Artista che ha scritto capitoli di storia del melodramma, cantando al
fianco della Callas e di Pavarotti, sotto la direzione di Karajan e Celibidache,
con la regia di Visconti e Zeffirelli.
Ieri sera si è tenuta una messa in suffragio nella chiesa di Sant'Ilario,
la stessa che ospitò i funerali del grande Rigoletto cremonese,
quando a piangerlo accorsero Leo Nucci e Nello Santi.
Nel quinto anniversario della morte è Luciano Pavarotti, raggiunto
telefonicamente nella sua villa di Pesaro, a tracciare un commosso ricordo
dell'amico e collega Aldo.
" Di lui conservo un ricordo magnifico - afferma Big Luciano - Era
un grandissimo professionista e un grande uomo. Geloso di nessuno, aiutava
sempre tutti. In teatro non parlava mai male di nessuno ed era felice
quando cantavano bene gli altri. Anche per questo era un personaggio raro,
anzi unico, nel panorama teatrale [
] :potrei definirlo la
quintessenza del professionismo".
- Quando ha cantato con Protti?: Al suo fianco ho debuttato nei Puritani
al teatro Bellini di Catania nel 1968; ricordo che mi sostenne come un
fratello maggiore, aiutandomi a superare brillantemente la prova.
Nello stesso anno ho partecipato con lui ed Enzo Dara a un concerto a
Mantova organizzato dagli Amici della Lirica, sotto la direzione di Ettore
Campogalliani, e ho fatto un Rigoletto al teatro Massimo di Palermo"
- Cosa ha rappresentato Protti per il teatro musicale in genere?: "E'
stato uno dei più grandi baritoni di tutti i tempi. Ricordo la
sua voce ben impostata, perfettamente in maschera. Una voce che sgorgava
con quella facilità che sottende una straordinaria tecnica, uno
studio minuzioso.
In questo lo paragono a Flaviano Labò, a Mirella Freni e a tutti
i grandi cantanti che sono usciti dalla scuola di Campogalliani".
- Di recente Giuseppe Di Stefano, in una intervista radiofonica, ha definito
la voce di Protti come una delle più significative del secolo.
"Ha perfettamente ragione. Era una voce, quella di Aldo, assolutamente
inimitabile, che non si dimentica.[
..]
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Lohengrin |
1976 Trieste
"La fanciulla del West" |
1970 Teatro Ponchielli di Cremona
"Falstaff" |
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Da L'Opera Novembre 1995 di Giancarlo Landini
RITRATTO DI ALDO PROTTI, RECENTEMENTE SCOMPARSO
L'ANIMA NELLA VOCE
La recente scomparsa di Aldo Protti, al di là del cordoglio per
la perdita dell'uomo e dell'artista, ci offre l'occasione per qualche
riflessione sulla parabola di questo valente interprete dell'arte lirica
e più in generale sulla corda del baritono e sul suo stato di salute.
Il tono di queste riflessioni vuole essere il più possibile sgombro
da pregiudizi, ai quali tutti, chi più chi meno, soggiacciamo,
ma anche da tentazioni agiografìche o beatificatorie, che, sarebbero
fuori di luogo e di fatto inutili.
Aldo Protti si è affacciato alla ribalta nel dopoguerra e, impavido,
ha affrontato subito un repertorio di tutto rispetto, o meglio, ha affrontato
subito il repertorio, il grande repertorio, fatto dei ruoli verdiani fondamentali,
delle figure importanti di Puccini o del Verismo, senza dimenticarsi di
quei pochi ruoli significativi del primo Ottocento, sopravvissuti nella
pratica corrente dei teatri. È il caso di Enrico nella Lucia di
Lammermoor o di Figaro ne Il barbiere di Siviglia, lavori ai quali nessun
baritono, al di là delle sue scelte di repertorio, vuole sottrarsi.
Nel corso della sua attività, che è sempre stata intensissima,
se non frenetica, oltre che distribuita su di un arco di tempo assai lungo,
il nostro non si è mai sottratto all'occasione, o all'opportunità,
di affrontare titoli desueti e rari.
Il significato del repertorio compilato da Carlo Marinelli Roscioni ha
proprio lo scopo di illustrare con precisione di dati l'ampiezza dell'attività
di Protti, dove si incontrano per sonaggi assai disparati, alcuni, almeno
a giudicare sulla carta, francamente lontani dal suo abituale campo d'azione.
È il caso del Pizarro del Fidelio. Da questo immenso repertorio,
complico Carlo Marinelli-Roscioni, abbiamo voluto estrapolare la cronologia
parziale delle interpretazioni di Rigoletto, sostenute da Aldo Protti,
che di questo personaggio è, con Leo Nucci, l'interprete italiano
di riferimento del nostro dopoguerra. Delle sue moltissime esecuzioni
dell'opera verdiana abbiamo voluto segnalarne solo alcune, con lo scopo
di offrire al lettore un vasto panorama dei molti luoghi dove il baritono
cremonese ha portato la sua icona del buffone verdiano. Allo stesso modo
abbiamo voluto mostrare come il rapporto con Rigoletto sia stato continuo
e regolare, dall'epoca della sua esecuzione fiorentina degli anni Cinquanta
fino a quello del Met di New York, che può essere considerata un
punto di arrivo.
Come è noto a tutti, Protti fu presto scelto da uno dei marchi
discografici più importanti, la Decca, e partecipò ad una
serie gloriosa di incisioni di titoli famosissimi, assieme ad una schiera
di cantanti, come Mario Del Monaco e Renata Tebaldi, che, al di là
dei giudizi di ognuno, devono essere considerati tra i principali esponenti
dell'arte lirica nel nostro dopoguerra. Questo fatto accrebbe la sua popolarità
e diffuse per tutto il mondo il nome, la voce e l'arte di Aldo Protti.
Proprio per questi motivi la sua casa discografica non potè mancare
di fargli incidere Rigoletto.
Di questa edizione, prodotta nel 1954, quindi nel primo periodo della
carriera di Protti, che disponeva di una voce freschissima, la critica
discusse molto e lanciò strali, specie contro l'"esuberante"
prestazione del tenore.
All'atto della pubblicazione de "Il Teatro d'opera in disco"
1950-1987 Rodolfo Celletti se la sbriga in poco spazio e dedica a Protti
mezza riga, fissando il cantante in due immagini, quella della correttezza
vocale e quella della genericità del fraseggio. È un giudizio
che viene da lontano, dalle "Voci parallele" di Giacomo Lauri-Volpi
e dalla voce "Protti" compilata da Giorgio Gualerzi per gli
aggiornamenti dell'"Enciclopedia dello spettacolo".
Fermiamoci un momento su questa bistrattata edizione del Rigoletto e riascoltiamola,
facendo particolare attenzione alle scene che impegnano Rigoletto, cioè
Aldo Protti.
Penso che nessuno possa negare la natura schiettamente baritonale della
voce di Protti,
una natura baritonale che si iscrive nella tradizione del nostro secolo.
Protti è un baritono
tagliato alla maniera delle voci formatesi nel periodo tra le due guerre,
voci che dal gusto
verista hanno ereditato l'amore per il timbro fosco, scuro, lontano dalle
propensioni tenorili di certi baritoni della fine dell'Ottocento e degli
inizi del Novecento. Il loro fraseggio si è fatto incisivo, assai
drammatico, talvolta incline ad ottenere effetti immediati, un fraseggio
lontano dall'aulica rotondila dei baritoni del secolo precedente.
Come tutti, o quasi tutti, i cantanti di quell'epoca, quella vituperata
del Verismo, Protti ha le carte in regola sotto il profilo tecnico. La
voce è appoggiata con sicurezza, è emessa senza fatica,
è sostenuta in modo omogeneo in tutta la gamma, è agile
negli acuti, avara però per quanto riguarda la dinamica.
La dizione è chiara ed il fraseggio assai nobile, capace di conferire
incisività alla frase.
Insomma una tipica voce impostata secondo il gusto realista o verista
che ha reso possibile
quella stagione d'oro degli anni Cinquanta, dove, sembra una battuta e
non lo è, i cantanti
cantavano e avevano la voce.
Chi scrive non ha vissuto in prima persona quella stagione, impossibilitato
da improrogabili ragioni anagrafiche e, in gioventù, ha creduto
alla chimera del così detto metodo di canto belcantista, che nella
speranza di fare risorgere Tamburini e Rubini, ha svuotato i teatri di
voci, ha dissestato l'impostazione tecnica di legioni di cantanti, ha
fatto in modo che non se ne trovi uno in grado di eseguire con l'ampiezza
e l'autorevolezza necessaria i grandi titoli verdiani.
Alla scuola del muggito è seguita quella del sonnambulismo belante,
fatta di voci afonoidi, slavate, male emesse, faticosamente sostenute,
destinate a svaporare dopo qualche recita. È nata la favola del:
"ha sbagliato repertorio" o del "canta troppo". Basta
leggere le cronologie dei vecchi leoni, per vedere quanto cantavano e
che cosa cantavano.
L'ascolto del Rigoletto di Aldo Protti conferma prima di tutto la presenza
di un cantante in grado di sostenere con autorevole sicurezza l'intera
parte. Si potrebbe discutere se Protti corrisponda alla perfezione ad
una voce verdiana ideale.
È certo che della voce verdiana Protti ha l'autorevolezza, la resistenza,
in taluni casi, la protervia, in molti lo slancio.
I puristi vi diranno che Protti è la versione verista del baritono
verdiano. È vero! Ma questa eguaglianza, che per anni anch'io ho
guardato con orrore, non è affatto negativa come si crede. Chiediamoci
che cosa ha portato di positivo il Verismo alla scuola di canto: la rilevanza
dell'accento, l'intensità del fraseggio, la modernità del
disegno dei personaggi, resi con un nervosismo lontano dallo stile compassato
del secolo scorso. Non c'è nessun grande cantante di sesso maschile
del nostro secolo che di fatto non sia impostato in modo verista, da Caruso
a Domingo, passando, eresia, per Bergonzi.
Nessuno di questi signori canta, meno male, alla Rubini o secondo quegli
esperimenti di
laboratorio che possono vivere nei recinti diqualche festival sfizioso.
L'ideale sarebbe potere conciliare questo nervosismo interpretativo di
marca verista, con una più attenta e scaltrita paletta dinamica,
studiata nelle mezzevoci e nelle gradazioni del suono. Protti non appartiene
a questo gruppo di eletti; il suo canto è schietto, è genuino
e quindi poco si preoccupa di pesare le sonorità con il bilancino
o di sfumare. Protti è come quei pittori che colgono e rendono
l'anima di una scena e di una figura, ma non curano i particolari.
Però l'anima c'è, e se c'è!
Tornate a quel vituperato Rigoletto ed ascoltate con attenzione i monologhi,
quello famoso davanti alla casa, nel primo atto, e l'altro, altrettanto
famoso, davanti al cadavere della figlia nel terzo atto. Sentirete un
baritono che, senza scavare ogni singola parola, coglie nel primo il senso
di smarrimento, di paura che alegga?, sull'anima di Rigoletto a causa
della maledizione di Monterone e nel secondo il desiderio di vendetta,
di farla pagare. Protti non è cosmico, non trasporta la figura
verdiana in una dimensione tragica esemplare, non ne fa un personaggio
shakespeariano, rimane
nei confini dell'umano, ne fa, se volete, un borghese piccolo piccolo,
che si sfoga con i potenti, che cerca una soddisfazione. Ma chi può
negare che questa interpretazione sia legittima? Chi può negare
che il personaggio verdiano contenga anche questa faccia?
Legittimamente nessuno.
Sotto il profilo dello stile, i due monologhi, provano che il pur temperamentoso
Protti non cade mai in effettacci gaglioffi, è assai rispettoso
della linea vocale, non è trasandato, ne volgare. Basta voltare
pagina, vale a dire arrivare ai due duetti con Gilda, per accorgersi che,
pur senza produrre
quel canto morbido e felpato, che certi passi richiedono, la sua voce
sa commuoversi, sa
cogliere, forse rudemente, il dramma del padre e sa renderlo in modo genuino.
Allo stesso
modo nella grande scena del secondo atto cercherete invano una terribilità
tragica sia nell'invettiva contro i cortigiani sia in quella finale contro
il duca.
Protti rimane ad una dimensione più quotidiana del dramma di Rigoletto,
ma sia gli slanci che i ripiegamenti hanno accenti di verità.
Tutto questo non è liquidabile in mezza riga; è qualche
cosa di più di una semplice correttezza di intenti; è il
frutto di una scuola di canto sicura, di quelle che permettevano a Protti
di tuonare in Amonasro e di sostenere, senza sfiatarsi, la micidiale cabaletta
di Don Carlo ne La forza del destino, di cantare con impavida fierezza
Jago e di essere un Germont assai credibile. Certamente in "Di Provenza,
il mare, il suol" non vedremo squarciarsi i cieli in un paradiso
di alate emissioni, ma tutto il duetto con Violetta vive di una forte
dignità
interpretativa.
Protti, sempre sicuro vocalmente, mai costretto a ricorrere a degli "escamotages",
per superare le difficoltà della scrittura verdiana, disegna un
padre concreto, burbero, ma comunque credibile, che perora in modo convincente
le sue ragioni, quelle ragioni che va di moda considerare ipocrite, ma
che sono assai sensate. (Alzi la mano chi di primo acchito sogna che il
proprio figlio sposi
una prostituta in carriera. E sia detto senza ombra di razzismo).
Nel caso di Germont la prova del nove potete farla con l'edizione Decca
del 1954, un'altra di quelle edizioni, dove Protti è stato liquidato
con un "canta con correttezza". Anche se il paragone venisse
fatto con certi mostri sacri, questo giudizio sarebbe riduttivo e grossolano,
falso e non vero.
L'interpretazione di Protti ha una sua dignità vocale ed una sua
logica drammatica, un suo taglio; se poi il paragone venisse fatto con
i prodotti dell'Eldorado nato dalle promesse di rinnovamento che dovevano
avverarsi tornando allo stile antico, allora solo i sordi potrebbero avere
dubbi su dove stia la verità.
E, pur non aspirando affatto ad intraprendere l'attività di maestro
di canto, non avrei dubbi
nell'additare in Aldo Pretti, un modello da seguire, un metodo di canto
da imitare.
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1972 Comunale di Firenze
"Tosca" |
1968 Catania
"Trovatore" |
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da PARMA LIRICA 1995 di Marcello Conati
PER LA SCOMPARSA DI ALDO PROTTI (1920 - 1995)
Artista completo, sensibile, raffinato
Il 10 agosto ultimo scorso è mancato ai vivi Aldo Pretti, artista
lirico.
Aveva appena compiuto settantacinque anni. Era nato infatti il 17 luglio
1920 a C remona, come dire a qualche tiro di schioppo dalle Roncole, il
luogo natale dell'autore, Giuseppe Verdi, che più aveva amato e
più frequentemente interpretato.
Poche settimane prima, ai primi di luglio, era stato insignito del "Premio
Caruso 1995" e aveva tenuto un concerto a Lastra di Signa. Le scarse
e striminzite biografìe ufficiali informano che da giovane fu operaio
nelle cave di marmo, che poi lavorò come macchinista delle ferrovie
e che studiò canto al Conservatorio di Parma sotto la guida di
Ettore Campogalliani.
Il suo esordio in teatro avvenne nel 1948 a Pesare con il Barbiere di
Siviglia, opera che poi eseguì nel novembre di quell'anno anche
nella nativa CremOnA, ma che in seguito scomparve dal suo reperto . L'anno
seguente si presentava a Mantova in Traviata a fianco di due "glorie"
della scena lirica: Hilde Reggiani e Arnaldo Voltolini: e ancora a Mantova,
ali 'aperto, a fianco della Favero e di Prandelli, nella parte di Marcello
in Bohème, opera che pure sarebbe scomparsa dal suo repertorio.
Si apprestava ad affrontare, infatti, in quello stesso anno, ruoli più
consoni alla sua vocalità: Cavalleria rusticana a Parma (subentrando
nella parte di Alfio a Carlo Bergonzi, a quel tempo ancora baritono),
e Pagliacci a Genova. Intanto si faceva conoscere da un pubblico più
vasto
attraverso alcune esecuzioni di opere liriche alla radio, dove aveva esordito
sin dal i 948, l'anno stesso del debutto in teatro.
Nel 1950 a Modena con Rigoletto, l'opera destinata a diventare il suo
cavallo di battaglia, a Catania con Trovatore e Aida, ancora con Aida
a Mantova e infine con La forza del destino all'Arena di Verona, Protti
entrava in quello che sarebbe stato il repertorio dominante della sua
carriera. Ma non
mancò di esplorare ruoli meno pesanti ovvero meno "battaglieri":
ad esempio Valentino nel Faust di Gounod a Genova, Giorgio Germont nella
Traviata a Catania e a Trieste, affrontando al tempo stesso opere meno
frequentate: Artesiana di Cilea a Modena (1951-52), Fernando Cortez di
Spontini a Napoli (1951) e Lohengrin in italiano ancora a Catania (nel
1951), opera, quest'ultima, che eseguirà ancora in seguito: ad
esempio a Palermo nel 1966 e a Genova nel 1971; ma in fatto opere di rara
esecuzione va ricordata anche l'Africana di Meyerbeer che Protti interpreterà
al S. Carlo di Napoli nel 1963 nell'impervio ruolo di Nelusko.
Il 1953 è l'anno della consacrazione: Rigoletto a Pisa e a Montecarlo,
Otello e Un ballo in maschera a Modena., ma soprattutto La forza del destino
(diretta da Mitropoulos, con la regia di G.W. Pabst e un cast comprendente
la Tebaldi, la Barbieri, Del Monaco e Siepi) e 'Aroldo di Verdi al Maggio
Musicale Fiorentino e la trionfale stagione areniana con l'Aida (diretta
da Serafin, nella regìa di Pabst, a fianco della Callas e di Del
Monaco) e con il Trovatore (ancora a fianco della Callas, mentre nel ruolo
di Manrico si alternavano Filippeschi, Kurt Baum e Del Monaco).
La consacrazione diventava definitiva con l'esordio alla Scala nella stagione
1953-54: subentrando a Leonard Warren nel Rigoletto usciva con pienissimo
merito dal confronto ravvicinato con il celebre artista statunitense.
Fino al 1957 fu ospite fisso del teatro milanese: nel 1955 vi interpretò
Andrea Chénier con la Callas e La forza del destino con la Tebaldi;
nel 1956 fu memorabile protagonista del Simon Boccanegra (impressionante
il suo "Paolo!" nella scena del Senato); in quella stessa stagione
si presentava in Traviata, a fianco dell'indimenticabile Callas, e nei
Pagliacci.
Ancora alla Scala nel 1957 vi cantava in Pagliacci e nella Forza del destino.
All'Arena di Verona era frattanto ritornato nel 1954 (Aida), nel 1955
(Carmen e Aida), nel 1956 (Gioconda con Di Stefano); si sarebbero poi
succeduti La forza del destino e II trovatore nel 1959, Aida nel 1961
e nel 1974. Intanto si esibiva anche all'Opera di Roma ('Rigoletto e La
forza del destino nel 1954) e nei maggiori teatri di Francia (Rigoletto
a Parigi nel 1954, Marsiglia, Bordeaux, Lyon, Nizzaa), di Germania (Deutsche
Oper di Berlino, Colonia, Francoforte, Monaco, Stoccarda), del Belgio
(La Monnaie di Bruxelles), della penisola iberica (Lisbona, Barcellona),
di Svizzera (Zurigo, Basilea), ed extra-europei (Colòn di Buenos
Aires, Metropolitan di New York, Città del Messico, Tokyo, Johannesburg,
e tanti altri ancora).
Dal 1957 fu per alcuni anni ospite fisso della Staatsoper di Vienna (Rigoletto,
Trovatore, Traviata, Aida, Forza del destino, Otello, Carmen, Pagliacci,
ecc.) e del Festival di Salisburgo, spesso richiestovi da Karajan.
Ebbe carriera longeva: nel 1978 fu Nabucco a Palermo e nel 1982 Rigoletto
a Piacenza.
A Parma esordì il 18 settembre 1949 in Cavalleria rusticana subentrando
- come già accennato - a Bergonzi; vi ritornò nel gennaio
1953 per Un ballo in maschera (questa volta a fianco di Bergonzi): nella
stagione ] 953-54 per Rigoletto e Otello; nel gennaio 1957 per Andrea
Chénier; nel gennaio 1961 per Un ballo in maschera; nella stagione
1961-61 per Don Carlo a fianco di Cesare Siepi: nel febbraio ] 972 fu
Gianciotto nella Francesca da Rimini; un anno dopo Escomillo in Carmen;
e infine nel gennaio 1975 ritornò a Parma per la sua ultima esibizione
vestendo in modo impareggiabile i panni di Pizarro nel Fidelio di Beethoven.
Coronò il suo rapporto con Parma il 27 marzo 1976 con una memorabile
intervista-concerto alla "Parma Lirica" {associazione della
cui fondazione era stato padrino nella vecchia sede di via Turchi): un
'indimenticabile serata della quale molti soci conservano ancora viva
memoria.
Nel complesso Aldo Protti interpretò 51 personaggi, collezionando
circa 1.900 recito. Oltre a Rigoletto, in assoluto la parte che più
frequentemente eseguì nel corso della carriera, le opere che più
spesso Protti interpretò sulle scene nazionali ed estere furono
II trovatore, La forza del destino, Aida e Pagliacci. Seguono quindi Otello,
Andrea Chénier, Gioconda, Carmen, Un ballo in maschera, Puritani,
Traviata, Don Carlo. Al termine della carriera aggiunse alla galleria
dei personaggi interpretati anhe quelli dì Scarpia, di Gianciottu,
di Gellner (Wally) e di Pizarro.
Aveva iniziato la carriera al tempo in cui era ancora validamente sulla
breccia la vecchia guardia rappresentata da Carlo Tagliabue, da Mariano
Stabile, da Piero Biasini, e nei cartelloni teatrali predominavano i rappresentanti
della corda baritonale emersi alla fine degli anni 1930 quali Gino Bechi,
Tito Gobbi, Giuseppe Taddei, Enzo Ma scherini. Paolo Silveri, Leonard
Warren. Era anche il tempo in cui s'affacciavano nuovi baritoni di robusta
tempra vocale come Gian Giacomo Guelfi, Ettore Bastianini, Cornell Mc
Neil. In questa nutrita presenza Aldo Protti seppe emergere e imporsi
senza difficoltà.
Potenza di voce e physique du role lo predisponevano (come si direbbe
in gergo) a ruoli canaille: Tonio, Rigoletto, Gérard, Amonasro,
Carlo di Varga, Gianciotto, tutte parti nelle quali egli era in grado
di di dimpegnarsi con assoluta tranquillità, si direbbe anzi con
impressionante facilità.
Fu tuttavia un limite di maestri e impresari averlo troppo circoscritto
a un determinato repertorio e non avergli offerto possibilità di
affrontare parti di diverso carattere.
Benché ricordato - e giustamente - come baritono eminentemente
verdiano, il suo repertorio non fu comunque molto ampio, se paragonato
con quello dei baritoni della sua generazione, ciò anche restando
nel ristretto ambito delle opere di Verdi: molto Rigoletto, molto Trovatore,
molta Forza del destino, ma per contro poco Emani, poco Nabucco, una sola
edizione del Simon Boccanegra, una sola (mi par di ricordare) dei Vespri
siciliani (a Trieste nel 1959); mai - ch'io sappia - il Macbeth (e quest'assenza
appare veramente misteriosa). Per conto il canto pucciniano non sembrò
essergli molto consentaneo, dato che non figurano nel suo repertorio ne
la Fanciulla del West
ne il Tabarro; e solo a fine carriera ebbe l'occasione di affrontare To
sca.
Baritono a tutto tondo, a ventiquattro carati, dalla voce estesa, potente,
salda e resistente, possedeva un canto immediato che non conosceva trucchi
nè sotterfugi.
Una voce solare. Forse per questo non era considerato cantante "problematico"
(e fors'anche per questo i sovrintendenti gli negarono ruoli come Simon
Boccanegra e Macbeth).
E tuttavia era capace di sfumature impensate, abile nel colorire la frase,
intelligente nel dosare la dinamica, disinvolto nel coordinare il canto
con una presena scenica molto incisiva, e per certi aspetti esemplare.
Il suo Jago - che Karajan apprezzò al punto di volerlo nell'edizione
discografica da lui diretta - era convincente non solo sul piano vocale
ma anche su quello scenico.
Ricordo ancora con quale sorpresa e ammirazione lo vidi interpretare -
dopo tanti Rigoletti e Trovatori - la parte del perfido alfiere: sulla
scena era veramente, per voce e per azione scenica, un "onesto"
Jago, capace di violente esplosioni vocali e al tempo stesso di modulare
il canto a fior di labbra.
Ebbi la dimostrazione lampante di un artista completo, che sa scavare
nel personaggio, penetrare nei segreti della partitura musicale, capace
di quelle raffinatezze di cui solo gli interpreti più sensibili
alle ragioni dell'arte conoscono il segreto.
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